Andrea Fazioli Andrea Fazioli

Andrea Fazioli

«Casa non è famiglia, non basta la famiglia, casa non è solo rifugio, sicurezza o figli da crescere. È un luogo ideale a cui appartenere; un territorio vasto dove ci si può perdere, ma nel quale riconoscere i punti di riferimento dell’amicizia, della condivisione, della tenerezza».

Casa Fazioli
Uno scorcio sugli esterni di Casa Fazioli da cui si scorge il balconcino tanto amato dallo scrittore.

Da queste parole, pronunciate da un poeta tunisino che fa capolino in uno dei racconti de “Il commissario e la badante” (l’ultimo libro pubblicato per la casa editrice Guanda nel luglio di quest’anno), emerge la particolare concezione di casa di Andrea Fazioli. «Definire con esattezza che cosa sia questa entità complessa, e a tratti sfuggente, non è impresa facile. 

Quello di cui sono abbastanza certo è che il concetto di casa dovrebbe fare riferimento non solo a un elemento architettonico circoscritto, ma a qualcosa di molto più ampio e fluido: un senso di appartenenza a un luogo ideale, delle radici, una rete di contatti sociali. L’essere umano ha bisogno di uno spazio nel quale riconoscersi; ma che questo debba essere fatto di mattoni è del tutto illusorio. 

Il luogo a cui appartenere non può che essere una somma delle esperienze, dei vissuti, dei ricordi che si vanno costruendo progressivamente nel corso della nostra esistenza».

Alla ricerca di un modo di abitare

più compiuto

Conosciuto sia in Svizzera che all’estero per i suoi polizieschi, e in particolare per la serie dedicata al detective Elia Contini, lo scrittore bellinzonese ha riflettuto a lungo sul significato che la casa assume per lui, affidando i propri pensieri in parte al suo blog – dove sono raccolti, insieme a brevi racconti, dei veri e propri spaccati della vicenda biografica di Fazioli – e in parte ai protagonisti dei suoi romanzi

Fin dai primi libri (emblematico il titolo “L’uomo senza casa”), i personaggi di Andrea Fazioli «sono sempre stati alla ricerca, ognuno a modo suo, di un luogo da poter chiamare casa. E, anche dopo averlo trovato, hanno continuato a cercarlo, a sperimentare una tensione verso un modo di abitare più compiuto». Questa perpetua ricerca sembra trasparire nitidamente dalla parabola di due personaggi eccezionalmente fortunati e “longevi”, creati dalla penna di Fazioli: il detective Elia Contini e l’ex-commissario della Polizia cantonale Giorgio Robbiani

Il primo è un fiero e attaccatissimo abitante del borgo montano di Corvesco (l’unico toponimo immaginario del Ticino altrimenti realistico in cui sono ambientati i romanzi dell’autore): «Contini ha un legame molto più forte del mio con il paese nel quale vive e con la sua dimora (una casa che, negli anni, sono arrivato a costruire nella mia mente sin nei minimi dettagli). 

Ma allo stesso tempo è anche un uomo che ogni sera si immerge nel mistero del bosco per spiare i movimenti notturni delle volpi, come se fosse alla costante ricerca di un punto di fuga verso l’esotico, verso “un altrove”, che riesce a trovare anche fra le fronde del luogo che conosce meglio al mondo»

Il richiamo dell’“altrove” spinge anche l’ex commissario Giorgio Robbiani (protagonista di una serie di racconti comparsi su Cooperazione fra il 2018 e il 2019 e poi confluiti ne “Il Commissario e la badante”) a rivedere la propria concezione di casa. 

«Robbiani è vissuto in quella casa per tutta la vita, ci ha visto crescere i suoi figli e morire sua moglie. Il rischio che diventi una casa del rimpianto, un mausoleo di “quello che è stato” e non il teatro di “quello che c’è ora” è fortissimo per lui, finché non arriva Zaynab, la nuova badante, portando una ventata di novità e un pezzetto della casa che ha lasciato dietro di sé, a Tunisi».

foto intervista
Andrea Fazioli in una fase dell’intervista.

Una disappartenenza mitigata dal ricordo

Se i personaggi dei romanzi e dei racconti di Andrea Fazioli sembrano dunque essere propensi al cambiamento, pur mantenendo un saldo legame affettivo con le loro case (chi per vicinanza emotiva al paese nel quale abita, chi per nostalgia verso la vita trascorsa in quegli spazi), il loro autore sembra spingersi un passo più in là

«Lo spazio dove vivo ha un’importanza relativa: cerco di non vedere nessun luogo come un punto d’arrivo, e ho una profonda consapevolezza della provvisorietà di ogni casa. Mi piace l’idea di muovermi, di poter cambiare, quando ne ho voglia». 

Il salotto popolato da una miriade di volumi e comode poltrone adatte alla lettura.

Un po’ come quando da bambino si divertiva a costruire casette di lego per i personaggi delle sue storie e, una volta allestita la dimora perfetta, veniva colto dall’irrefrenabile desiderio di distruggerla per ricominciare il gioco da capo, anche nella vita adulta Andrea Fazioli sembra divorato da un profondo bisogno cambiamento, come se ogni spazio abitativo avesse una “data di scadenza”, passata la quale gli venisse richiesto di «ripartire dal desiderio di una casa»

Un’inquietudine, un incessante vagabondaggio, un bisogno quasi vitale di rinnovamento (che ben si sposa con l’indole di un uomo che ha scelto di fare della narrazione di storie sempre nuove il proprio mestiere) che porta lo scrittore a rifiutare qualsiasi tipo di legame affettivo con il “contenitore” che ospita la sua quotidianità domestica. 

«È un caso che in tutti questi anni, passando da una casa all’altra, io sia sempre rimasto a Bellinzona. Tendenzialmente credo di poter abitare un po’ ovunque, e forse proprio per questo non ho l’istinto del proprietario: mi piace l’idea di provvisorietà della casa in affitto, che sembra quasi invitarti, dopo un po’, a lasciarla per trovarne un’altra. Per evitare di cominciare a rimpiangere una casa quando ci stai ancora vivendo è meglio guardarla con un po’ di distacco e prenderla “come viene”». Un senso di disappartenenza e quasi di estraneità rispetto alle proprie mura domestiche che viene tuttavia, almeno in parte, mitigato dalla profonda importanza conferita alla dimensione del ricordo.

Tutte le case in una

«Penso sia necessario cambiare alla radice il nostro concetto di casa: si dice sempre “io abito qui”, ma in realtà, in questo momento, io sento di abitare in questa casa e contemporaneamente in tutte le case in cui ho vissuto fin dalla mia infanzia; delle case che, almeno idealmente, sono qui, ora, insieme a me: le ritrovo nel modo in cui sono accostati i quadri, seguendo la disposizione della casa precedente, o nella posizione di uno dei miei libri, che anche nella mia cameretta di adolescente era infilato propri lì, accanto agli stessi due volumi», racconta lo scrittore. «Dentro di me ci sono tutte queste case e, insieme, anche tutti i luoghi in cui ho vissuto per pochi giorni, gli appartamenti di vacanza, le stanze d’albergo, le camere per gli ospiti in casa di amici… vivono nella mia memoria insieme alle parole sentite e pronunciate in questi luoghi, alle ombre, alle sensazioni». Un’affermazione che rende più comprensibile, agli occhi di chi a casa propria è legato come a un figlio, il distacco emotivo dello scrittore verso la sua abitazione attuale, che è sì un mero “guscio di mattoni”, temporaneo, provvisorio, destinato a essere sostituito con un altro quando la sua funzione si sarà esaurita, ma è anche un archivio di immagini e di ricordi che accompagneranno Andrea Fazioli nei suoi futuri vagabondaggi, arricchendo e “arredando” le case che lo ospiteranno.

Nel cuore del sottotetto si cela lo studio dello scrittore: uno spazio interamente dedicato alla sperimentazione artistica e letteraria.
La cucina del nostro ospite con ritagli di giornale, appunti, riflessioni e coloratissimi disegni delle figlie.

Da un’abitazione all’altra

Un vagabondaggio, quello dello scrittore, di sua moglie e delle loro due bambine, in corso da diverso tempo: «Questa è le terza casa in cui ci spostiamo come famiglia, ma tanti sono stati gli spostamenti che hanno caratterizzato la mia infanzia e la mia giovinezza, con lunghi periodi trascorsi fuori dal Ticino, a Milano e a Zurigo, per seguire i miei studi». 

A differenza dei precedenti, però, quest’ultimo trasloco è stato decisamente più rocambolesco: «Abbiamo scoperto questa vecchia casa di inizio novecento verso la fine del 2019, e ci siamo convinti che sarebbe diventata la prossima tappa del nostro percorso. 

Prima che ci trasferissimo occorreva, però, realizzare una serie di piccoli lavori di ristrutturazione, che si sono protratti fino al sopraggiungere della pandemia. 

Dopo il periodo di stasi imposto dal lockdown, si è aperta una “finestra” per il trasloco e ci siamo tuffati al volo: abbiamo riempito in fretta e furia centinaia di scatole di libri, vestiti e giocattoli delle bambine e ci siamo spostati qui. Da allora è iniziato un lungo, travagliato processo di insediamento, che è tutt’ora “in fieri”» racconta Fazioli sorridendo di fronte al tavolo da pranzo ricoperto da una montagna di “bacchette magiche” delle figlie. 

«Il caos post-trasloco non mi disturba, anzi… fa parte di quella dimensione di provvisorietà che cerco in casa mia. Non posso permettermi di averlo, però, negli strumenti che uso per lavoro: i libri sono stati la prima cosa che ho estratto dagli scatoloni, e dopo neppure una settimana dal nostro arrivo erano già disposti secondo un ordine ben preciso, che mi permette immediatamente di trovare un volume quando mi occorre». 

Pareti tappezzate di libri e comode poltrone adatte alla lettura, uccellini di legno colorato e bambole scintillanti, soprammobili, suppellettili e fiori ad adornare ciascuna delle stanze: anche nella sua incompiutezza (forse destinata a permanere, come caratteristica intrinseca alle “case Fazioli”), il grande edificio in pietra dalle persiane rosso acceso riflette il carattere dei suoi proprietari.

Sullo sfondo, la biciletta da corsa tanto cara al padrone di casa.

Il tempo come spazio

«Ho descritto l’esperienza di questo ultimo trasloco in diversi post pubblicati sul mio blog, e mi sono trovato a riflettere sull’idea di trasloco come fenomeno temporale più che geografico: in fondo, un anno della nostra vita non è altro che un luogo, una somma di armadi pieni di oggetti, di scaffali zeppi di libri, di credenze colme di ricordi», racconta Andrea Fazioli.

«E forse invecchiare significa proprio questo: caricare i propri averi su un furgone e viaggiare verso un posto nuovo». Se lo scorrere del tempo è un accumularsi di elementi materiali, ciascuno di essi si fa allora rappresentativo di un particolare momento della vita. 

«Se dovessi indicare gli oggetti che più mi rappresentano in questa casa – al di là dei libri, ovviamente – sceglierei la mia collezione di pipe: fumare la pipa non è come fumarsi una sigaretta, ogni pipa ha una storia, è legata a dei ricordi; quelle appese alle pareti del salotto mi sono state regalate nel corso degli anni e le ho fumate nelle varie case in cui ho abitato; alcune addirittura le ho ereditate da mio padre, hanno una storia ancor più antica.

Un altro oggetto che mi è particolarmente caro è la mia bici da corsa – momentaneamente collocata nell’atrio d’ingresso, quasi fosse un animale selvatico strappato al suo habitat naturale – o il mio sax, che è con me fin da quando ero un ragazzino». 

La musica jazz, lo «strimpellio del sassofono» rappresenta un’ulteriore spinta verso l’evoluzione, una tensione artistica e un desiderio di mettersi in gioco in un terreno che non gli è familiare come quello delle parole. «Mi piace cimentarmi con nuove sfide. L’ultimo “esperimento” è lo studio dell’arabo, che coltivo assiduamente, con sessioni quotidiane, da ormai diversi mesi».

Il regno di uno scrittore

Fra la miriade di stanze che popolano i tre piani della grande casa, la culla che accoglie il fermento creativo di Andrea Fazioli è, naturalmente, lo studio: abbarbicato in cima a tre ripide rampe di scale in pietra, nel cuore del sottotetto, lo studio dello scrittore è una nicchia protetta e “sufficientemente isolata”dal resto della casa (e dal resto del mondo) da permettergli di coltivare le sue passioni, di sperimentare con il sax e, soprattutto, di dedicarsi alla scrittura. «A convincermi che questa casa potesse andare bene per noi è stata principalmente la presenza di un piccolo balcone nella stanza che sarebbe diventata il mio studio

Sono un appassionato di terrazze e balconi, mi piace poter osservare dall’alto il flusso di vita che scorre sotto di me, cogliendo quei dettagli che sfuggono quando ci si è immersi. Potremmo definirla come “la mia unica necessità” quando abbiamo scelto la nuova casa, dover rinunciare a questo punto di vista assolutamente privilegiato mi sarebbe pesato…», racconta Fazioli con un sorriso nostalgico. 

«Per il resto, non avevo esigenze particolari nell’allestimento del mio studio, anzi». Se il contesto architettonico esercita un’influenza significativa sul modo in cui vengono vissute le esperienze (rendendo, per esempio, la lettura molto diversa a seconda che uno si trovi in spiaggia o seduto nello scompartimento di un treno), per scrivere occorre infatti, secondo Fazioli, annullarlo completamente

«Scrivere di fronte a un bel panorama è, secondo me, deleterio: quando si scrive bisogna concentrare lì tutte le proprie energie, senza distrazioni. Se mi dedico alla scrittura di un libro mi isolo, e mi capita spesso di chiudere persino le imposte, così da non essere disturbato da quanto avviene fuori. 

Da un lato penso sia un bisogno comune a tutti gli scrittori, quello di avere “una stanza tutta per sé”, come diceva Virginia Woolf (ed è uno dei motivi per cui ho voluto mantenere la frammentarietà originaria di questa casa, l’intimità creata dalle piccole stanze chiuse, rifuggendo, almeno in parte, dagli “open spaces” consigliatici dai nostri architetti); dall’altro, forse, questo bisogno deriva dalla mia personale necessità di partire sempre da un “vuoto” per abitarlo con una storia». 

Un’esigenza di completo isolamento che si lega probabilmente anche alla “densità” dell’esperienza della scrittura vissuta dal nostro ospite: se tanti lettori si appassionano ai romanzi di Fazioli per i loro intrighi, per i misteri e per i colpi di scena tipici del genere poliziesco, per l’autore la scrittura «è molto di più che escogitare uno stratagemma per sorprendere il lettore. Risponde ad un bisogno innato nell’essere umano di raccontare storie, ed è per me prima di tutto – in particolare quando mi dedico alla scrittura di romanzi – un processo di conoscenza». 

Appare quindi naturale che, in casa di Andrea Fazioli, forme di scrittura diverse abitino spazi diversi: se la forma più complessa, articolata e “impetuosa” – quella dei romanzi – non può che trovare posto nella quiete dello studio, la stesura di note, appunti e idee nel taccuino tascabile «può avvenire letteralmente ovunque, dall’aereo all’autobus, dai bar alle sale d’attesa, tranne che nello studio»; e la redazione di articoli o di lezioni per i suoi alunni, invece, si colloca al piano terra, sul tavolo del soggiorno, nel cuore della dimensione familiare.

«Ogni pipa ha una storia, è legata a dei ricordi.
Quelle appese nel mio salotto mi sono state regalate nel corso degli anni nelle varie case
in cui ho vissuto» racconta Fazioli.

Una quotidianità multipla

Tante forme di scrittura quante sono, in effetti, le attività professionali coltivate dal padrone di casa. «Vivere di sola scrittura in Italia non è facile, figuriamoci farlo in Ticino», racconta l’autore. 

Alla stesura dei romanzi, si affiancano quindi altre occupazioni: dalla scrittura regolare di racconti destinati a quotidiani e settimanali al lavoro in radio, dall’attività giornalistica all’ideazione di workshop e seminari sulla scrittura creativa, fino all’insegnamento in un liceo

«Volutamente non ho scelto un’unica attività da affiancare alla scrittura per sbarcare il lunario, e in un certo senso non voglio neppure definirmi unicamente uno scrittore: il rischio di identificare una persona con la sua professione, affibbiandole un’identità unica e circoscritta, è molto forte, ed è altrettanto facile, per questa persona, annullarsi in essa. Non lasciarsi definire significa non lasciarsi ingabbiare dalle circostanze, riconoscere la molteplicità della nostra individualità. 

E proprio per questo, io credo, l’essenza ultima di una persona non dovrebbe lasciarsi catturare neppure a casa sua». Un po’ come avviene nel processo di scrittura, nel quale l’io dell’autore deve scomparire, facendo perdere le sue tracce sia che si tratti di un romanzo («che è per forza popolato di “mie cose”, ma che non deve mai parlare di me») sia che si tratti della scrittura in prima persona coltivata sul blog («una narrazione offerta al lettore, la storia di un personaggio che dice “io”»), allo stesso modo la personalità dell’inquilino deve scomparire fra le mura di casa propria. «In fondo, se aveste visitato questa casa senza di me e aveste provato a raccontarmi attraverso di essa, non ne sarebbe scaturita che un’altra storia».

Lì, dove c’è vita

Un continuo “sfuggire”, una volontà di «non sentirmi mai a casa, specialmente quando scrivo», e, insieme, un sentirsi a casa propria dappertutto, in qualsiasi luogo, proprio perché non ne esiste un “identikit” univoco ed esaustivo: questa apparente contraddizione sembra riflettere pienamente l’inquietudine di uno scrittore sempre all’erta, «sempre pronto a mutare stile, genere, registro; sempre desideroso di migliorare l’ultimo romanzo scritto perché, una volta terminato, lascia quel grado di insoddisfazione necessaria per provare il desiderio di dare vita a uno migliore», un uomo perennemente desideroso di evolversi, nella scrittura come nella vita. 

Sì, perché in ultima istanza, fra le tante definizioni di casa che Andrea Fazioli ha formulato nel corso della nostra lunga intervista, che ha descritto nei monologhi che popolano il suo blog o sulle tracce delle quali ha fatto muovere i personaggi dei suoi romanzi, una – pronunciata di corsa, a mezza voce, nel mezzo di un flusso di pensieri concentrati su tutt’altro – sembra prevalere sulle altre: «la nostra casa è dove in quel momento, per noi, c’è possibilità di vivere. E il cambiamento, è vita».

  © Riproduzione riservata

© Edimen Sa | All Rights Reserved